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Inaugurazione di Notre Dame

L'abito dell’arcivescovo haute couture firmato dagli artigiani di Chanel

di Angelica Eruli
2 min

La riapertura della cattedrale di Notre Dame è stato l’evento più vicino ad una sfilata di moda che avessimo mai immaginato: una sorta di matrimonio reale in piena fashion week milanese. A sorprendere non è stata (tanto) o solo la cravatta gialla – e non rossa – di Donald Trump o l’abbigliamento assolutamente informale di Zelenskij, ma l’abito dell’arcivescovo disegnato da Jean-Charles de Castelbajac e realizzati dagli stessi laboratori artigianali di Chanel.

Gli abiti vescovili firmati Jean-Charles de Castelbajac

Non si tratta di una semplice sensazione: gli abiti vescovili indossati per la messa cattolica dedicata alla riapertura di Notre Dame sono stati realizzati da Jean-Charles de Castelbajac e cuciti negli laboratori artigianali di Chanel, nei laboratori artigianali di Le19M, poco fuori Parigi. Lo stilista del resto, ben prima di iniziare a lavorare con le cariche più alte della Francia – e sto parlando del Clero, non di Macron vista la crisi politica in cui si trova il suo Paese – aveva sempre mostrato una passione per la cultura Pop, tanto che sui suoi abiti facevano spesso capolino personaggi come Topolino e Donald Duck.

L’influenza pop è chiara anche nelle 700 tonache che vescovo, arcivescovo, sacerdoti e diaconi hanno indossato per l’inaugurazione. I colori sono quelli delle vetrate della cattedrale di Notre Dame che si è tinta, di nuovo, di blu, rosso, giallo e verde. È stata la luce della cattedrale a guidare il processo creativo dello stilista, che ha quindi mixato tre colori che del resto sono sempre stati cari al clero. Nell’iconografia cromatica religiosa il rosso rimanda al sangue di Cristo, il blu all’acqua e alla Vergine Maria, mentre il verde è la speranza e il giallo evoca l’oro e la luce.

La creazione di questi abiti manifesta tutta la cura apportata alla riapertura della cattedrale e la gioia di tornare a celebrare la liturgia” ha confermato Monsignor Ribadeau Dumas, rettore di Notre Dame.

Insomma, gli abiti sono un’opera d’arte contemporanea, in cui sono uniti in maniera sapiente quanto attenta le influenze pop e quelle di una lunga tradizione liturgica. In quella tunica sono racchiusi simboli religiosi antichissimi e altri pagani più moderni.

Moda e Chiesa, non è la prima volta che vanno a braccetto

Se si pensa che il binomio moda e chiesa sia una cosa d’altri tempi, che risale quindi al periodo delle indulgenze, si è fuori strada. Basti pensare che ci sono alcuni stilisti, come Jean-Charles de Castelbajac che si sono “specializzati” in abiti liturgici: la prima volta era stato ingaggiato nel 1997 quando l’allora Papa Giovanni Paolo II gli aveva commissionato le tuniche per la Giornata Mondiale della Gioventù a Parigi. Anche in quel caso, gli abiti erano stati un tripudio di colori e tonalità luminose: le tuniche erano bianche (come quelle per l’inaugurazione di Notre Dame) e al centro avevano un maestoso arcobaleno.

La lunga storia di collaborazione è stata oggetto addirittura di una mostra Metropolitan Museum of New York nel 2018, Heavenly Bodies: Fashion and the Catholic Imaginationdove erano esposti abiti liturgici del XX e XXI secolo con lo scopo di dimostrare come religione e moda siano due interlocutori naturali.

Moda e chiesa sarebbero infatti uniti, in maniera metaforica, dal desiderio di trascendere il quotidiano e trovare un significato più alto della comunità. Sebbene entrambi vivano in un mondo ben codificato da regole e strutture gerarchiche, è chiaro come la distinzione tra sacro e profano – così chiara e salomonica durante il periodo rinascimentale – stia, pian piano, cadendo.

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