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La Milano Fashion Week e I/Deal: in passerella la ricerca sul cancro

In apertura della settimana della moda milanese, 20 donne sfilano indossando artisti emergenti e i segni della malattia

di Annalisa Tortora
2 min

Il 19 settembre l’apertura della Milano Fashion Week è stata affidata aI/Deal, un evento che ha visto protagonisti giovani stilisti e modelle d’eccezione. La Cancer Culture, un’organizzazione no-profit fondata e guidata da pazienti affetti da cancro al seno, ha organizzato conArt+Vibesl’evento patrocinato dalla Camera nazionale della moda italiana. In passerella abiti di stilisti emergenti indossati da 20 donne normali, nessuna modella dalla carriera altisonante, nessuna star, ma donne che hanno superato il cancro al seno e che ne portano ancora addosso i segni.

Tra tulle, pantaloni aderenti, tuniche, abiti da fiaba, giacche aperte senza niente sotto a mostrare il corpo senza seni e giochi di colori su abiti appariscenti.

Nell’aula magna dell’Università Bocconi di Milano apre la Settimana della Moda puntando i fari di uno degli eventi più importanti dell’anno su un dato di fatto: la malattia esiste e colpisce persone normali, una donna su otto, tantissime. Il cancro al seno, la malattia in generale, porta con sé un’onta di diversità, I/Deal ha voluto in qualche modo porre l’accento sulle differenze dagli stereotipi di bellezza e femminilità, quasi a voler narrare una storia diversa: “Quest’evento sarà un’occasione per celebrare la vita e ricordarci che il cancro non definisce il paziente – Beth Fairchild, presidente di Cancer Culture – ..attraverso questo progetto speciale ambiamo a aumentare la consapevolezza, ispirare il cambiamento e far luce sulla realtà della malattia”.

Vengono chiamati i “Defilè della Rinascita” e l’evento del 19 settembre, non è certo il primo nel suo genere. Ha voluto accendere i riflettori di operatori, media e persone “normali” su un tema importante, attuale, potremmo dire comune: il tumore della mammella (tra i più diffusi ma di certo non il solo), con i suoi silenzi, i suoi cambiamenti (o stravolgimenti), con l’immagine che cambia, con i tabù degli occhi della gente, con la paura e la solitudine di chi combatte una guerra con il proprio corpo.

E non è nemmeno la prima volta che Cancer Culture offre occasioni di riflessione di questo genere, il format, infatti, aveva debuttato già nel 2017 alla New York Fashion Week. Il ricavato di tutti questi eventi è sempre stato devoluto a strutture che si occupano di ricerca, nello specifico, questa volta, tutti gli incassi sono stati destinati alla Fondazione Piemontese per la Ricerca del Cancro e alla Fondazione Ieo-Monzino.

Sostenere la ricerca e sensibilizzare chi la malattia ce l’ha e chi la osserva dal di fuori per ricordare che una donna affetta da cancro al seno è pur sempre una donna, con o senza seno, da sempre simbolo stesso della femminilità, con o senza capelli, con o senza corpo filiforme.

Sulla stessa linea l’iniziativa di ASI, Asso style image, l’associazione italiana dei consulenti d’immagine professionisti, in collaborazione con l’Istituto Nazionale Tumori di Milano, sta lanciando il progetto “Io nonostante tutto”, oncologia e consulenza d’immagine. Ad ottobre, durante il mese della prevenzione del cancro al seno, un pull di esperti consulenti d’immagine, gratuitamente, presso la struttura ospedaliera, metteranno al servizio di pazienti oncologiche la loro professionalità per accompagnare le persone che hanno affrontato, o stanno affrontando le cure, in un percorso di valorizzazione della loro immagine attraverso l’utilizzo dei colori, l’abbigliamento, gli accessori, il make up e la skin care. Per riscoprirsi attraenti, per rivedersi belle, per tornare a sentirsi donne.

Sostenere la ricerca, sensibilizzare e supportare, ognuno per le proprie competenze.

Solo una considerazione mi sovviene circa la sfilata: se l’obiettivo di I/Deal era sensibilizzare e normalizzare, la malattia e le donne che quella malattia la vivono o l’hanno vissuta, non necessariamente correndo a dei ripari che ne cancellassero il passaggio (per esempio con un intervento di ricostruzione al seno) era questa la narrazione migliore da fare?

Mi spiego meglio: per cambiare una narrazione, forse, si è caduti nella narrazione stessa, quella della “donna guerriera” che lotta e vince la sua battaglia. Niente di sbagliato, anzi. Le donne di Cancer Culturescelgono di vivere la propria vita pienamente, normalmente, accettando gli alti e bassi della malattia.

Ma tutto questo, la sfilata, raccontata dai media a rimarcare ulteriormente quello che quelle donne rappresentano, non quello che quelle donne sono, genera l’effetto “sottolineatura” quando invece l’obiettivo è proprio quello di normalizzare: un corpo che porta i segni di una malattia diffusa e presente nella vita di moltissime donne, donne che è giunto il momento smettano di sentirsi diverse, almeno nel corpo. Tutte quelle donne meritano l’attenzione puntata su di loro ma non perchè sono malate, perchè a loro modo sono comunque bellissime.

 

Credits immagini: ANSA

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