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“C’è ancora domani”, tessuti di vita e cambiamento

Dal cucito alla liberazione: il ruolo dell'abbigliamento nella metamorfosi di Delia

di Angelica Eruli
5 min

“C’è ancora domani”, il toccante film diretto dalla talentuosa Paola Cortellesi, è un’opera che cattura l’essenza dell’umanità e della speranza in mezzo alle sfide della vita. Questo film, imbevuto di emozioni profonde e attuali, porta gli spettatori in un viaggio attraverso le complessità delle relazioni umane, la resilienza di fronte alla diversità e la ricerca incessante della felicità. Cortellesi, con una regia sensibile e attenta, riesce a tessere una narrazione che parla direttamente al cuore dello spettatore, lasciando un’impressione duratura e una riflessione profonda sull’importanza di guardare oltre le difficoltà del presente, nutrendo la fiducia che, nonostante tutto, “c’è ancora domani”.

Ma non vogliamo qui soffermarci sulla tematica del patriarcato, una parola tanto di moda (tristemente) in queste settimane, quanto piuttosto su come i costumi e gli abiti ricorrano in maniera potente durante il film e come le scelte estetiche compiute in questo film accompagnino la protagonista verso una nuova dimensione di consapevolezza.

Abiti consumati, il simbolo di una vita di lotta

Delia è una donna nata del 1946, incarna la resilienza e la forza in un’epoca segnata da profonde difficoltà e conflitti. La sua vita è stata costellata di sfide, in particolare la violenza subita dal marito Ivano, un uomo che giustifica i suoi atti crudeli con scuse superficiali, come il suo essere “nervoso” a causa delle guerre vissute. Questa realtà dolorosa non sfugge agli occhi della figlia adolescente Marcella, che, pur trovandosi alla soglia del matrimonio, osserva con critica e disappunto il trattamento riservato alla madre.

In un contesto dove la dipendenza economica dal marito era la norma, Delia trova la forza di contribuire al bilancio familiare attraverso piccoli ma significativi lavoretti, un contributo silenzioso ma essenziale delle donne nella società. Tra questi c’è anche il rammendare e cucire gli abiti per una sartoria vicino a casa: ecco quindi che emerge, fin dalle prime scene un elemento importantissimo per la narrazione. Delia sa cucire, un dettaglio che in apparenza può sembrare trascurabile ma sarà rilevante per la sua trasformazione.

Nella prima parte del film la protagonista indossa abiti consunti e ne è un esempio emblematico la camicetta logora che indossa quando vengono a pranzo i futuri consuoceri con il fidanzato della figlia Marcella.

Il vestito di nozze, la promessa per il futuro 

Delia, nella sua figura dimessa, vestita con abiti ormai consumati, cela un progetto di amore profondo e di speranza. Tutti i suoi risparmi sono destinati a un oggetto di straordinaria importanza: un abito da sposa per la sua figlia. Questo non è un semplice vestito, ma un simbolo potente, un segno tangibile del desiderio di Delia di offrire a sua figlia un futuro migliore, diverso da quello che lei stessa ha vissuto. L’acquisto di questo abito con i guadagni ottenuti dal suo duro lavoro rappresenta una svolta simbolica, un gesto di ribellione contro una vita di restrizioni e di sacrifici.

L’abito bianco, scelto per la figlia, va oltre la sua funzione di capo nuziale: è un messaggio di speranza e di cambiamento. Questo vestito, acquistato nuovo e non ereditato, simboleggia una rottura con il passato e le sue limitazioni. Non si tratta di un capriccio o di un semplice desiderio di vanità, ma è l’espressione di un profondo anelito di libertà e di una volontà di tracciare un nuovo percorso di vita per la sua amata figlia.

In questo gesto, Delia incarna la forza di tutte quelle madri che, nonostante le avversità e le sfide personali, scelgono di lottare per garantire alle proprie figlie opportunità migliori. L’abito di nozze diventa così un simbolo di passaggio, un ponte tra generazioni, che sancisce non solo l’unione di due persone, ma anche il passaggio da una vita di limitazioni a una di possibilità e speranze rinnovate.

Camicetta e rossetto: l’alba di una nuova donna

La storia di Delia si evolve in un crescendo emotivo che culmina nella solennità del 02 giugno. In questa data simbolica, Delia si prepara con cura, indossando il suo vestito buono, proprio come farebbe per una domenica speciale. Il suo debutto nel mondo come Donna, esercitando per la prima volta il suo diritto di voto, è sottolineato da una nuova camicetta, simbolo di un inizio fresco e pieno di speranze.

Verso la fine del film, assistiamo a un momento di profonda rivelazione: Delia, seduta alla sua macchina da cucire, lavora questa volta per se stessa. Con pochi risparmi, accuratamente nascosti al marito, ha acquistato uno scampolo di stoffa a fiori per confezionare una camicetta nuova. Questo gesto, apparentemente semplice, è in realtà un atto di ribellione e di affermazione di sé, che parla di una donna che finalmente si prende cura di se stessa, sfidando le restrizioni imposte dal suo ambiente.

Il culmine di questa trasformazione è rappresentato dal rossetto rosso che Delia sceglie di indossare. Il rosso, simbolo di femminilità vibrante e assertiva, non più repressa o nascosta, diventa una dichiarazione visiva della sua nuova identità. Delia non è più solo la donna dimessa e soffocata dalle circostanze; ora è una figura che rivendica con forza il suo diritto di esistere e di essere riconosciuta come individuo a pieno titolo.

Questo cambio di abbigliamento, quindi, non è solo un cambiamento estetico, ma un potente simbolo di rinascita e di rivendicazione. Attraverso questi gesti, Delia si riscatta da un passato di oppressione e si apre a un futuro di possibilità, diventando un emblema di coraggio e di speranza per tutte le donne che cercano di ritrovare la propria voce e il proprio spazio nel mondo.

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