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I Bias cognitivi sulla consulenza d’immagine

Riconoscerli e liberarsene

di Angelica Eruli
2 min

I bias cognitivi sono pregiudizi mentali, spesso invisibili, possono deviare il corso di una consulenza dall’obiettivo di valorizzare l’unicità di un individuo. Riconoscere questi bias non è solo una sfida, ma un’arte che, una volta padroneggiata, apre le porte a una consulenza d’immagine genuina, personalizzata e profondamente efficace.

Cosa sono i bias cognitivi?

I bias cognitivi sono distorsioni sistematiche nel modo in cui pensiamo e prendiamo decisioni. Possono essere visti come errori di giudizio o irregolarità nel pensiero razionale, spesso a causa di limitazioni nella nostra capacità di elaborare le informazioni o di influenze emotive e sociali.

Questi bias possono influenzare in modi sottili ma significativi le nostre percezioni, le decisioni e le interazioni con gli altri. Oltre ad essere fortemente influenzati dal contesto storico culturale in cui si trova una persona, sono profondamente radicati nella psicologia umana e possono essere difficili da riconoscere e superare, poiché tendono a operare al di sotto del livello della coscienza.

Anche la consulenza d’immagine è vittima dei bias

Il mondo della consulenza d’immagine non è esente da questi bias cognitivi in due dimensioni: da una parte bisogna considerare le distorsioni di cui sono vittima i consulenti d’immagine nel momento in cui affrontano un cliente e dall’altra i bias di cui le persone, potenziali clienti, sono vittima nel momento in cui si avvicinano a questi professionisti.

Nel primo caso il bias di conferma è il più diffuso e anche quello da temere maggiormente.

Si manifesta quando i consulenti cercano o interpretano informazioni in modo che confermino le loro credenze preesistenti. Per esempio, un consulente potrebbe essere influenzato durante l’analisi del colore dalla stagione che il cliente si è “auto assegnato”, in assenza di qualsiasi riprova.

Strettamente correlato a questo primo bias c’è quello dell’ancoraggio, ossia la tendenza di un image consultant ad affidarsi troppo alla prima informazione ricevuta (l’“ancora”). Ecco quindi che si potrebbe essere tratti in inganno nel completamento di un’analisi del colore, della bodyshape o della facial shape in seguito a frasi come “Mi stanno bene solo accessori oro”.

Passando poi al bias cognitivo più frequente tra le persone che si rivolgono ad un consulente d’immagine: l’effetto alone. Si verifica quando un singolo aspetto positivo o negativo influisce sul giudizio generale di una persona. Ad esempio, un particolare del consulente d’immagine potrebbe renderlo poco gradito al cliente. Analogamente, anche una brutta esperienza con un professionista dell’immagine può portare la persona a considerare tutta la categoria in maniera negativa.

Del resto, se dovessimo eleggere un bias principe nelle persone contro i consulenti d’immagine sarebbe proprio l’effetto Dunnng-Kruger, ossia la tendenza di individui con conoscenze o capacità limitate in un determinato campo a sopravvalutare le proprie competenze.

Riconoscere i bias è il primo passo

Riconoscere l’esistenza dei bias cognitivi nella consulenza d’immagine è il primo passo fondamentale per mitigarne gli effetti negativi. La consapevolezza di questi pregiudizi inconsci e socialmente determinati aiuta consulenti e clienti a sviluppare un approccio più equilibrato e obiettivo.

Quando si è in grado di identificare questi pattern di pensiero, si apre la strada a decisioni più riflessive e personalizzate, che rispecchiano veramente le esigenze e le aspirazioni individuali, anziché aderire ciecamente a tendenze o percezioni superficiali. Questa consapevolezza è cruciale per un’efficace consulenza d’immagine.

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