Sommario
Nemmeno nei peggiori incubi degli appassionati del mondo della moda si sarebbe mai potuto immaginare uno scenario del genere. Eppure, come spesso accade nel mondo dorato e delirante dell’alta moda, la realtà supera la fantasia.
Miuccia Prada compra Versace. No, non è un titolo satirico di Lercio Couture, ma un fatto. Un’operazione da 1.25 miliardi di dollari che ridefinisce il panorama del lusso italiano e che ha il sapore amaro della fine di un’epoca.
Era tutto scritto, forse. Le avvisaglie c’erano. Ma chi avrebbe mai pensato che il regno del barocco muscolare di Donatella Versace sarebbe finito nel portafoglio sobrio-intellettuale di Miuccia Prada? Siamo passati dai gladiatori dorati alle borse in nylon. È la fine del kitsch o la sua definitiva consacrazione? Difficile dirlo. Intanto, nel pollaio della moda italiana, una gallina ha preso il volo.
L’escalation di Miuccia
Miuccia Prada è partita da una laurea in scienze politiche e un dottorato in mimo al Piccolo Teatro di Milano. Se già qui non si coglie la genialità del personaggio, serve un ripasso. Quando nel 1978 prende le redini dell’azienda di famiglia – specializzata in articoli di pelletteria di lusso – nessuno avrebbe scommesso su di lei. E invece.
Negli anni ’80 inventa la borghesia radical-chic in total black, con il nylon che diventa status symbol. Negli anni ’90 fa esplodere il concetto di bruttezza di lusso – roba che se non capisci, sei solo uno sprovveduto. Poi arriva la consacrazione con la Fondazione Prada, le collaborazioni con l’arte contemporanea, la linea Miu Miu, Raf Simons in co-direzione creativa. Un impero costruito su intelligenza, avanguardia e il gusto del disallineamento.
Ma adesso, con Versace nel mirino, Miuccia gioca una nuova partita: quella del potere vero.
Il sacrificio della Regina
In questa surreale partita a scacchi dell’alta moda, Donatella Versace ha giocato il suo colpo più estremo: il sacrificio della regina. E no, non è stata una mossa dettata dal panico o dall’ingenuità. È stata una scelta calcolata, lucida, quasi disperatamente brillante.
Per anni Donatella ha indossato la corona con fierezza e ostinazione, difendendo l’eredità dorata e barocca della maison Versace anche quando i venti del mercato soffiavano in tutt’altra direzione. Ha trasformato il lutto personale – la perdita tragica del fratello Gianni – in missione estetica. Ma i conti parlavano chiaro: il brand era sotto pressione, le vendite tentennavano, i bilanci non sorridevano.
Così, da regina che conosce le regole del gioco, Donatella ha scelto di sacrificarsi per salvare il regno. Come nella più spettacolare delle manovre scacchistiche, ha offerto se stessa – la propria autonomia, la propria influenza, la propria centralità – pur di assicurare un futuro alla casa di moda che porta il suo nome.
La vendita a Capri Holdings nel 2018 è stato solo il primo atto del sacrificio. Ma è con l’uscita di scena definitiva – l’abbandono della direzione creativa e l’arrivo di Miuccia Prada come nuova reggente dell’impero – che il sacrificio si è consumato del tutto.
Donatella, incarnazione visiva della maison, non è stata scalzata: si è offerta. Ha rinunciato al trono per dare un nuovo slancio alla scacchiera. Un suicidio apparente… che potrebbe trasformarsi in un trionfo per Versace.
Perché, come in ogni Queen sacrifice ben orchestrato, la perdita immediata della regina spalanca la strada a una vittoria strategica: nuovi capitali, una visione più solida, e forse – paradossalmente – un futuro ancora più longevo per l’estetica sfacciata e indomabile che lei ha incarnato per decenni.
Donatella non ha perso. Ha scelto. E l’ha fatto con grande stile.
Donatella abbandona Versace: non c’è posto per due galline in un pollaio
Donatella Versace, la regina del décolleté vertiginoso e del platino ossigenato, lascia il nido. Dopo anni a gestire l’eredità barocca del fratello Gianni con l’aiuto di più bisturi che consulenti, Donatella si arrende.
Non che non ci abbia provato: dopo l’assassinio di Gianni nel 1997, ha trasformato la maison in un carrozzone pop-glam frequentato da celebrity e red carpet. C’era l’animalier, le meduse, i tessuti stretch, le catene d’oro grosse come catene da ormeggio. Un’estetica eccessiva che, però, ha fatto scuola.
Ma il tempo passa, i capitali americani si raffreddano e i sogni d’oro lasciano spazio a Excel e strategia. Michael Kors aveva già inglobato Versace nel 2018, promettendo miracoli che non si sono mai realizzati. Donatella ha tenuto duro, come una diva d’altri tempi. Ora però, con Prada in arrivo, il sipario si chiude.
Donatella resterà come “consulente creativa”? Probabile. Ma è chiaro che il pollaio era troppo stretto per due regine.
Prada compra Versace
L’operazione da 1.25 miliardi di dollari è molto più di un semplice acquisto. È una dichiarazione d’intenti. Miuccia non vuole solo mettere il suo timbro su una nuova linea di borse dorate. No. Vuole costruire un polo del Made in Italy capace di competere con LVMH.
Prada ha già integrato Church’s, Car Shoe, Helmut Lang (con esiti alterni), ma Versace è un’altra storia. È uno statement. È il simbolo di un’Italia che non esiste più, fatta di lussi ostentati, corpi scolpiti e opulenza da palcoscenico.
E allora cosa ci fa nel portafoglio della signora dell’anti-glamour? Semplice: Miuccia vuole tutto. Non solo l’intellettuale, non solo l’underground, non solo l’arte contemporanea. Vuole anche il kitsch, ma sotto il suo controllo. Con questa mossa, Prada ambisce a fare quello che LVMH ha fatto con Dior e Givenchy: unire mondi distanti sotto un’unica, potentissima visione industriale.
Due icone al confronto
Miuccia e Donatella. Due donne di potere che non avrebbero mai dovuto condividere lo stesso tavolo, figuriamoci lo stesso Cda. Entrambe hanno imparato a essere donne in un mondo maschile e maschilista. Entrambe hanno preso in mano maison costruite da uomini, per uomini, e le hanno rese universi femminili – a modo loro.
Miuccia, colta e cerebrale, ha costruito un’estetica dell’antimoda, basata sul rifiuto delle ovvietà. Non ha mai ceduto a compromessi estetici, né a lifting visibili. Ha preferito citazioni letterarie e provocazioni museali, senza mai perdere il controllo.
Donatella, al contrario, ha abbracciato la teatralità. Ha preso l’eredità del fratello Gianni – fondatore di un brand che celebrava la sensualità greco-romana – e l’ha trasformata in un’odissea pop. Il suo volto è cambiato negli anni, ma mai il suo spirito da diva.
E se Miuccia ha creato un impero con l’intelletto, Donatella ha tenuto in vita un brand con la pura forza della personalità. Il loro scontro – perché di questo si tratta – è il riflesso di due visioni estetiche, culturali, industriali. Non si tratta solo di moda, ma di linguaggi opposti: il minimalismo contro l’eccesso, il cervello contro il corpo, la sobrietà contro la sensualità.
Ora che Versace è nelle mani di Prada, la domanda è: chi sopravviverà al rebranding? Il glamour dorato di Donatella verrà sterilizzato? Oppure Miuccia concederà un’area recintata alla nostalgia anni ’90, come si fa con i panda in via d’estinzione?
In questa partita di Monopoli della moda, la casella “Parco della Vittoria” l’ha presa Miuccia. Ma resta da capire se saprà farci un grattacielo… o se si limiterà a una galleria d’arte con ingresso riservato.