Home » L’intelligenza artificiale e il mestiere di chi ascolta gli abiti

L’intelligenza artificiale e il mestiere di chi ascolta gli abiti

E se il look perfetto non bastasse a “vestirti”?

di Chiara Salomone

Leggevo ieri mattina i dati riportati da NSS Magazine di uno studio dell’Havard Business Reviw che confrontavano le principali ragioni per cui le persone usano l’AI generativa. Se nel 2024 l’obiettivo più diffuso era “generare idee”, oggi al primo posto troviamo un utilizzo molto più umano, quello di supporto emotivo. Questo conferma il passaggio dell’utilizzo dell’AI da strumento cognitivo a strumento emotivo. E così mi sono chiesta… Come sarà il futuro della consulenza d’immagine? Come cambierà questa professione? Sarà, in poco tempo, sostituita dall’AI, che sicuramente è più veloce ed economica?

In pochi anni siamo stati immersi in un contesto dove tutto è immediato, dove la risposta arriva prima ancora della domanda. Dove il consiglio è un clic, la ricetta delle lasagne un reel e il buongiorno una notifica.

È il tempo dell’AI?

Viviamo in un tempo dove l’Intelligenza Artificiale sa tutto… tranne che sentirci.

Perché se è vero che l’AI può suggerire il look perfetto, non saprà mai dire cosa quel vestito racchiude, il suo significato emotivo. E allora se lo strumento digitale replica, calcola, sintetizza, la consulenza d’immagine diventa un atto di pensiero e di relazione umana.

Una consulente d’immagine non lavora con i vestiti. Lavora con le persone.
Con le loro incertezze. I loro racconti. Le fratture, le rinascite, le pagine ancora da scrivere. Ascolta con gli occhi. Con il cuore. Con quel silenzio raro che non aspetta di parlare, ma aspetta di capire. Il suo mestiere non è imporre, ma accompagnare. Non è trovare la risposta giusta, ma fare la domanda che mancava.

Quale valore aggiunto sa dare un consulente umano?

Osservare è il suo primo atto d’amore professionale: non guardare, non parlare ma osservare. Significa cogliere la piega sulla fronte mentre la cliente sperimenta un colore. Sentire l’esitazione nel tono quando dice “mi piace” ma non ci si crede davvero.
Significa accorgersi che quell’abito non è solo bello ma una corazza, o una dichiarazione, o una nostalgia. Significa aver la cura di non farla sentire nuda ma vestita di sé stessa.

L’Intelligenza Artificiale può riconoscere pattern, suggerire outfit, fare sentiment analysis, può studiare milioni di dati, incrociarli con i trend, costruire un consiglio su misura…
Ma non ha pelle, non ha ricordi, non ha cicatrici, non ha quell’istinto tipicamente umano che ci connette all’altro, che ci sintonizza sul suo sentire che ci permette di entrare con lui/lei nel suo armadio, quello dei vestiti che sono anche frammenti di sè.
L’AI la sa lunga, ma come può sapere di quella pelle d’oca che hai intravisto sul braccio della tua cliente quando ha indossato quel vestito nuovo verde smeraldo? Non sa cosa vuol dire infilarsi una giacca per sentirsi forte o scegliere un colore perché fa meno male che dirlo.

Le risposte incrociate su dati e algoritmi ci bastano?

Eppure l’AI, ci affascina. La consultiamo. Le chiediamo di aiutarci, ogni giorno, sempre di più. Questo è un sintomo che ci dice che abbiamo fame di senso, abbiamo bisogno di accoglienza, cerchiamo qualcuno che sia lì per noi. Ecco perché oggi, più che mai, la tecnica non basta  serve occuparsi di emozioni. Perché sono la nostra bussola. Perché sono l’unico sapere che l’algoritmo non può calcolare.

L’epoca che stiamo vivendo è anche l’epoca in cui più manca il coraggio di sentire.

E allora la consulenza d’immagine, se fatta davvero, diventa uno spazio di ascolto. Un laboratorio relazionale. Un atto trasformativo.

La consulente d’immagine non ti dice “stai bene con il verde salvia”. Ti chiede: Come ti fa sentire quel colore?”
Non ti mostra un look di tendenza. Ti ascolta mentre le racconti, senza accorgertene, che vorresti cambiare lavoro. Che ti senti diversa. Che non ti riconosci più.

I suoi strumenti sono antichi. Lo sguardo empatico. Le domande aperte. C’è rispetto, c’è il tempo. Che non è il tempo dell’immediatezza, della pappa pronta, del fagocitare per poi rimanere affamati. È il tempo lento che serve per fare spazio all’altro, per accompagnarlo nel viaggio più delicato che esista: tornare a somigliarsi. È sentirsi in armonia con ciò che si è diventati, nonostante tutto.

Nessun algoritmo saprà dire: “Questo abito sei tu”. Solo chi ha imparato a stare con le persone può farlo. Solo chi ha il coraggio di non sapere subito. Di non risolvere. Di restare.

La bellezza è…

In un mondo che ci vuole perfetti, risolti, ottimizzati, scegliere di prendersi cura delle persone, anche attraverso gli abiti, significa accettare che la bellezza non è nei numeri, ma nel significato. Che un corpo non è una taglia, ma una storia. Che lo stile non è imitazione, ma identità.

E allora, la prossima volta che un’app suggerirà il look perfetto, non chiederti se il tuo lavoro ha senso ma pensa al valore di ciò che fai: perchè solo chi ha imparato a vedere oltre la forma può creare una strategia efficace.

Le emozioni sono la nostra ultima verità, sono il luogo in cui nessuna intelligenza artificiale può entrare perché non si calcolano, non si programmano.. si abitano, si indossano. Quello che può fare la differenza, quello che le persone cercano nella consulenza d’immagine non è l’abito perfetto ma quello che le fa sentire perfette sapendo che qualcuno, da qualche parte, ha avuto il coraggio di ascoltarle abbastanza da capirlo.

Potrebbe interessarti

logo_footer

Copyright© 2022 Iconic Image – Privacy PolicyCookie Policy